Mark Zuckerberg afferma: “Dobbiamo porre riparo a tutto questo!”
Da giorni sentiamo parlare della vicenda che ha coinvolto Cambridge Analytica e Facebook e oggi ho deciso di analizzare un po’ la vicenda.
E’ una faccenda delicata che, ancora una volta, mette in discussione il diritto degli utenti del web di sapere chi accede ai loro dati e per quale scopo. Cercherò, quindi, di capire cos’è successo e poi come le informazioni che seminiamo in Rete, anche senza rendercene conto, possono essere utilizzate per influenzare i nostri comportamenti e la nostra percezione della realtà.
Ma innanzitutto che cos’è Cambridge Analytica?
E’ un istituto di ricerca fondato da Robert Mercer nel 2013 e specializzato nell’analisi psicometrica degli utenti dei social network. A partire dall’analisi dei semplici “mi piace” lasciati su Facebook, gli esperti sono in grado di costruire il profilo comportamentale e le caratteristiche salienti della personalità di ogni singolo utente. Maggiore è il numero di “mi piace” analizzati, più è preciso il profilo psicometrico realizzato. Uno studio pubblicato lo scorso autunno aveva però evidenziato come un solo “mi piace” fosse sufficiente per inquadrare gusti e preferenze di chi lo avesse messo.
Entriamo nel vivo della questione.
Lo scorso 18 marzo due inchieste parallele del Guardian e del New York Times hanno catapultato Facebook al centro di una delle più grandi bufere mediatiche della sua storia: Cambridge Analytica avrebbe utilizzato in maniera illecita i dati di oltre 50 milioni di elettori americani profilandone psicologia e comportamento in base al monitoraggio delle loro attività su Facebook.
Il sospetto è che Cambridge Analytica abbia influenzato le intenzioni di voto di milioni di persone grazie all’uso sapiente di dati personali acquisiti illecitamente, all’insaputa degli elettori stessi. Infatti, pare che nel 2016, il comitato di Donald Trump abbia affidato a Cambridge Analytica la raccolta dei dati per la sua campagna elettorale. Sebbene il ruolo ufficiale della C. A. si fermi qui, le indagini condotte fino ad oggi, dimostrano che nel corso della campagna elettorale pro-Trump sono stati utilizzati numerosi bot e account fasulli al fine di diffondere fake news e altri contenuti per screditare l’avversaria Hilary Clinton.
Ogni giorno venivano pubblicati decine di migliaia di post, soprattutto in occasione di dibattiti TV e di altri grandi appuntamenti elettorali. L’efficacia dei post veniva anche analizzata in tempo reale così da poter privilegiare coloro che erano in grado di influenzare l’opinione dell’elettorato. Per queste attività, C. A. avrebbe messo a disposizione competenze e tecnologie.
Una situazione seria che, a poche ore dalla pubblicazione, ha fatto diminuire il valore delle azioni di Facebook del 6,8 % e che a Mark Zuckerberg è costata oltre 9 miliardi di dollari del suo patrimonio personale.
Immediatamente il social network ha vietato loro l’utilizzo di tutti i suoi servizi. Cambridge Analytica afferma di aver già cancellato i dati e ha accettato un controllo legale da parte di una società incaricata dallo stesso Facebook di verificarlo.
C’è stata una violazione della fiducia da parte di Cambridge Analytica, la quale nel 2015, aveva dichiarato formalmente di aver cancellato i dati acquisiti in modo improprio. Ma c’è stata anche una violazione della fiducia tra Facebook e gli utenti che condividono i loro dati e che si aspettano che li proteggano.
Mark Zuckerberg afferma: “Dobbiamo porre riparo a tutto questo!”.
Per il momento l’inchiesta giornalistica del Guardian e del New York Times, pur non arrivando a provare con certezza la colpevolezza di nessuno, evidenzia ancora una volta come tutti noi siamo assolutamente e completamente disarmati contro l’utilizzo scorretto dei dati che più o meno consapevolmente affidiamo alla Rete.
E tu cosa ne pensi di tutta questa vicenda?