Le pmi italiane sono presenti online? Poco e male, si direbbe, a leggere alcuni studi che si sono susseguiti nel corso degli ultimi anni, per valutare la qualità e la quantità dell’impronta delle pmi europee e mondiali su Internet. L’Italia, in realtà, è messa meglio di altre nazioni, ma non mancano criticità e problemi.
Quando parliamo di pmi (piccole e medie imprese: da 0 a 49 addetti), parliamo della quasi totalità delle aziende italiane: secondo l’Ocse infatti, le pmi nel nostro Paese rappresentano il 99,99% del totale. Soprattutto le piccole realtà sono prevalenti, con una percentuale sul totale del 95%.
Bene. Tra queste, secondo le ultime ricerche, sarebbe circa il 53% ad avere una presenza su Internet: siamo uno dei 9 Paesi europei (su 25) a superare la metà. Il 17% ha un profilo sui principali social network (Facebook e Twitter). Solo il 4% delle aziende italiane vende tramite ecommerce. Un’altra statistica interessante, parla del livello di aggiornamento dei siti web italiani: il 79% non avrebbe contenuti freschi da più di un anno.
Insomma, i dati sono buoni (buonini, diciamo), ma si potrebbe fare molto di più: le potenzialità, anche per le pmi, dell’ecommerce e del web marketing sono molto elevate.
La domanda è: perché?
Ma perché le pmi non hanno compreso la forza e le potenzialità di Internet? Una delle ragioni è la scarsa penetrazione di questo strumento nel nostro Paese: come abbiamo visto, sono “appena” il 62% gli italiani over14 ad avere una connessione stabile, una delle percentuali più basse tra gli Stati del sud Europa. Ci sono poi altre ragioni, culturali e burocratiche che ne frenano la diffusione.
Sulla scarsa propensione alla presenza online, Simone Cosimi di Wired offre una riflessione interessante, che indica anche proposte e provvedimenti concreti che le istituzioni potrebbero prendere per ovviare al problema:
Quali, però, i passi da fare per favorire la presenza in rete del tessuto produttivo italiano? Lo raccontano alcune indicazioni raccolte da Netcomm nel lavoro realizzato con gli studi Cbm & partners studio legale, CleverAdvice e Taxmen.eu. Si tratta di proposte molto dettagliate. Si va dalla reimportazione dei prodotti resi in regime d’esenzione dai dazi doganali e dall’Iva all’allineamento della certificazione fiscale tra operatori economici che vendono prodotti per corrispondenza in rete (commercio elettronico indiretto) e operatori che vendono servizi digitali in rete (commercio elettronico diretto) passando per l’approvazione di norme condivise in materia di tassazione del digitale a livello europeo fino alla spinta verso una maggioresicurezza dei pagamenti online.
Jayson DeMers di Forbes, offre una serie di spiegazioni allo scarso utilizzo delle tecniche SEO da parte delle pmi online negli Stati Uniti. Riflessioni che – ci sembra – possano essere applicate anche al contesto italiano:
– Pregiudizi. Innanzitutto è una questione di costi: molti imprenditori credono che si tratti di una pratica da decine di milioni di euro e quindi se ne tengono alla larga. Altri, magari scottati da precedenti esperienze, pensano che il SEO rappresenti una sorta di “trucco”, una truffa: roba da spammer, insomma.
– Mancanza di tempo o di volontà di imparare. Stare dietro a un sito web può essere molto difficile e dispendioso in termini di tempo. Occorre, poi, aggiornarsi costantemente sulle ultime novità in termini di SEO e social media.
– Pubblicità tradizionale. Bisogna ammettere che la pubblicità presente sui media tradizionali (televisione su tutti) è ancora di forte impatto.
– Strategie a lungo termine. È sempre difficile investire. Lo è ancora di più quando i risultati – come succede online – tardano ad arrivare nel breve periodo.
Una questione fondamentale
Secondo il rapporto Europe is missing, ricerca di e-mail Brokers sull’evoluzione digitale in Europa, Internet rappresenta un fattore determinante nello sviluppo e nella crescita delle imprese:
L’87% delle aziende fallite in Germania nel 2013 non erano presenti online. Una tendenza ravvisabile anche in molti altri Paesi: l’Olanda (86%, la Spagna (84%), l’Italia (83%), il Belgio (82%), Francia (81%) e così via.
Insomma, anche per le pmi italiane, la presenza su Internet diventa una questione fondamentale: ne va della propria sopravvivenza.
(Photo Credit: Marcelo Graciolli on Flickr)