Sharing Economy, economia della condivisione, dello scambio: il sistema capitalistico sta affrontando la sua Terza Rivoluzione, secondo alcuni studiosi, e porta proprio il nome di sharing. In parole povere, le persone sono oggi più abituate e propense a scambiarsi oggetti, case, stanze e auto (o a condividerne una parte), invece di comprare, di possederli. La proprietà esclusiva non è più vista come un valore assoluto: i consumatori si stanno gradualmente abituando a un sistema dove il concetto di proprietà privata diventa sempre più sfumato.
Già nel 2011, la rivista Time aveva inserito la sharing economy tra le 10 idee che avrebbero cambiato il mondo. E oggi, nel 2015, pare che questa rivoluzione di portata mondiale stia manifestando tutto il proprio potenziale. Anche in Italia, dove a farla da padrone sono i settori del turismo e dei trasporti (car sharing, bike sharing, etc.).
Ma la sharing economy è un fenomeno che interessa tutti, senza distinzione tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo. Ecco perché, un economista in voga come Jeremy Rifkin, parla di Terza Rivoluzione Industriale, in una recente intervista a l’Espresso:
Il capitalismo è il padre naturale dell’economia dello scambio, la quale è in fase di sviluppo e di crescita, ma è ancora giovane e immatura. Ma è assolutamente chiaro che l’economia dello scambio, oltre ad essere un evento storico di enorme portata, è il primo nuovo sistema economico in crescita in tutto il mondo che viene dopo i due sistemi che abbiamo visto prendere forma nel Diciannovesimo secolo, il capitalismo e il socialismo”.
Rifkin si sofferma sulla vocazione globale di questo fenomeno, così come dimostrano le ultime ricerche di mercato:
[La sharing economy] è universale, come si può leggere in uno studio condotto dalla Nielsen: in oltre 40 nazioni, sono state fatte ricerche attraverso centinaia di interviste sulla propensione a scambiarsi la casa o la macchina, rispetto al desiderio di possedere questi beni. È un fenomeno affermato negli Stati Uniti e in Europa, ma la grande sorpresa che viene dallo studio Nielsen è l’entusiasmo che si coglie nei paesi dell’Asia e del Pacifico: al primo posto con il 93 per cento di approccio favorevole verso l’economia dello scambio è la Cina”.
Secondo Rifkin, la sharing economy sta avendo un impatto molto forte sulle nostre vite per una sua peculiare caratteristica: la tendenza, cioè, a ridurre drasticamente i costi marginali delle attività produttive o del terzo settore. E lo fa con un esempio molto semplice:
Prenda per esempio Airbnb, la società che mette in contatto milioni di persone per lo scambio di una casa o la ricerca di una stanza. Per loro aggiungere un appartamento o un nuovo utente che vuole condividere la sua casa ha un costo marginale vicino allo zero. Per una grande società alberghiera aggiungere una stanza significa mettere in conto costi di acquisto del terreno, di costruzione di un nuovo albergo, di tasse sulla proprietà, di ulteriori spese di manutenzione. Lo stesso vale per la condivisione di una automobile, di una barca, perfino di un servizio. La rivoluzione sta tutta qui”.
Questo vantaggio è ulteriormente amplificato dalle potenzialità della Rete e delle tecnologie digitali (smartphone, tablet, etc.), che permettono di raggiungere una platea di clienti potenzialmente infinita. Insomma, la sharing economy sta scardinando (anche se lentamente) il vecchio sistema industriale e produttivo per come lo conosciamo. Ogni rivoluzione ha i suoi costi (come spiega lo stesso Rifkin), ma nasconde anche nuove opportunità: le possibilità di fare business e lavorare nei nuovi mercati aperti si moltiplicano di giorno in giorno.
Per chi vuole saperne di più, a inizio Novembre è previsto a Milano il convegno Sharitaly, che ha come titolo “Non solo app. L’economia collaborativa nelle aziende, nelle pubbliche amministrazioni e nel terzo settore”. Maggiori info, al link: http://www.collaboriamo.org/al-via-la-terza-edizione-di-sharitaly/
(Photo Credit: Alan Levine on Flickr)